Giorgio Amendola
Biografia
Giorgio Amendola nacque a Roma nel 1907.
Il padre era il ministro liberale Giovanni, che fu tra le prime vittime delle violenze del fascismo e di Mussolini: aggredito nel 1925 dagli squadristi a Montecatini, gravemente ferito, riparò in Francia dove, in una clinica di Cannes, morì dopo poco.
Il giovane Giorgio nel 1929 entrò nel Partito Comunista d’Italia che, clandestinamente, riusciva a mantenere in vita organizzazione ed attività anche dopo lo scioglimento di tutti i partiti operata dal regime fascista.
Nel 1931 Giorgio Amendola raggiunse la Francia, dove svolse attività politica per conto del partito; al rientro in Italia, nel 1932, fu arrestato e condannato a cinque anni di confino per attività antifascista.
A Ponza collaborò alla conduzione della mensa come aiuto-cuoco, diresse la biblioteca, tenne lezioni di storia ai compagni, organizzò proteste e, soprattutto, venne a contatto con la base del partito, costituita prevalentemente da operai e da braccianti.
Parecchi anni dopo, a proposito degli anni trascorsi sull'isola e della partenza, scrisse:
"Partimmo tra abbracci e lacrime, commossi. Era finito un periodo della nostra vita.
Ci eravamo sposati, avevamo vissuto momenti indimenticabili, era nata Ada, gioie e dolori.
Io partivo politicamente più forte.
Avevo imparato a conoscere i compagni, la sostanza umana del partito... Avevo ormai trent'anni ed ero diventato un uomo."
Amendola divenne, dopo l’8 settembre 1943, uno dei principali organizzatori e leader della Resistenza per conto del Partito Comunista.
Nel dopoguerra fu uno dei massimi esponenti del PCI e dell’intera classe politica italiana. Deputato alla Costituente nel 1946 e poi alla Camera dal 1948, rimase sempre al vertice del partito; fu il leader dell’ala moderata e riformista (la cosiddetta “destra amendoliana”) che si adoperò per collocare il partito in un’ottica europea, vicina ai grandi partiti socialisti e socialdemocratici senza, tuttavia, rinnegare la peculiarità (la “diversità” come poi dirà Enrico Berlinguer) del PCI ed il suo legame, affettivo più che politico, con l’URSS.
Grazie all’opera politica di Amendola anche il PCI, fin dalla metà degli anni ’60, divenne fortemente europeista.
Amendola fu, infatti, con gli ex azionisti Ugo La Malfa ed Altiero Spinelli, uno dei più autorevoli ed impegnati europeisti italiani.
Da “comunista italiano” fu sempre pronto a condannare ogni forma di estremismo e di massimalismo.
Nel 1976 il PCI ebbe una grande avanzata elettorale e, in ottemperanza agli accordi raggiunti con gli altri partiti democratici, ai comunisti andò la Presidenza della Camera dei Deputati; il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, propose a Giorgio Amendola tale carica ma l’anziano militante rifiutò, affermando di non avere le competenze per presiedere l’Assemblea di Montecitorio anzi, di “non saper presiedere neppure un’assemblea di comunisti”.
Venne eletto il suo storico rivale interno, Pietro Ingrao, leader dell’ala sinistra del PCI. Nel 1980, il 5 giugno, all’età di 73 anni, Giorgio Amendola morì a Roma dopo una lunga malattia.
Poche ore dopo il suo decesso, stroncata dal dolore, morì anche la moglie, Germaine Lecocq, francese, conosciuta a Parigi durante gli anni di esilio e sposata a Ponza nel 1934.
Sugli anni del fascismo e del confino Giorgio Amendola scrisse "Un’Isola" (Rizzoli, 1982), una toccante autobiografia. Sui fatti della Resistenza scrisse un libro di memorie, “Lettere a Milano”, 1973, e un libro – intervista, “Intervista sull’antifascismo”, 1976. Nel 1967 pubblicò un saggio intitolato “Comunismo, antifascismo e Resistenza”.
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