Linee generali
Le persone colpite da condanna al confino vengono trasferite in un luogo isolato, lontano da quello di residenza.
La pena ha durata massima di cinque anni non rinnovabili per legge, tuttavia numerosi sono i casi di riassegnazione al confino. Al confinato è assegnata una carta di permanenza che contiene le regole a cui egli è tenuto ad attenersi.
Il confino è un provvedimento di pubblica sicurezza; è misura di prevenzione (ante delictum), non pena assegnata a conclusione di un processo.
La condanna al confino è l’esito di un procedimento della commissione provinciale per la pubblica sicurezza che può essere innescato dalla denuncia di un privato cittadino, da una delazione di un anonimo oppure da indagini di polizia.
Lo Stato con questo strumento cerca di isolare e controllare gli individui che ritiene pericolosi o fastidiosi: oppositori politici (antifascisti o fascisti), omosessuali, minoranze etniche (rom) o religiose (testimoni di Geova), singoli cittadini sospettati di aver commesso un reato che sarebbe difficile provare in sede di processo (ad esempio le persone sospettate di pratiche abortive). Il confino politico diviene sistema di repressione e di controllo sociale.
Le origini di questo strumento sono anteriori al fascismo: il confino è previsto per la prima volta dalla legge Pica del 1863. Durante il Ventennio il confino viene però impiegato su larga scala: si contano 262 sedi di confino e quasi dodicimila confinati.
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