Il Confinato

Menu

Il Confinato

Biografia

Seguimi, conosco questi luoghi, sono arrivato nel 1928, sono ripartito nel ’43 e la via del confino l’ho percorsa ogni giorno, più volte al giorno, da solo o in compagnia, mai più di tre persone perché era vietato formare capannelli. Uscivo dal Camerone dopo il primo appello, raggiungevo il sagrato della chiesa e prendevo la stradina in salita sulla sinistra della chiesa. La via De Luca Sindaco ai miei tempi era fatta a gradoni, i morti venivano portati al cimitero a spalla; addossata al muro della torre c’era una garitta; a sinistra un piccolo slargo, il carcere, la pretura. Appena sbarcati sull’isola venivamo portati in carcere, ci perquisivano, ci consegnavano la carta di permanenza. In pretura venivano celebrati i processi minori; ci difendevano due avvocati isolani, Gaetano Migliaccio e Luigi Sandolo. Da queste parti c’era una mensa. La garitta addossata al muro della Torre segnava il limite per noi invalicabile; anche gli isolani, per superarla, dovevano esibire i documenti. Torniamo indietro. Nella prima casa a sinistra abitò per qualche tempo Mario Magri. Alla base della discesa, dove ora c’è una cappella votiva, c’era un’altra garitta, un’altra ancora davanti sul belvedere; le garitte erano così vicine che ai militi, per comunicare, bastava alzare un po’ la voce. Scendiamo, passiamo davanti ai Cameroni, svoltiamo a sinistra, sul viottolo che gli isolani chiamano via di dietro il Comandante perché, in epoca borbonica, costeggiava il campo militare. Nelle stanze dell’edificio sulla sinistra visse Tito Zaniboni. Proseguiamo, costeggiamo la cisterna romana del Comandante, saliamo i pochi gradini che conducono a via Umberto. Su via Umberto, nel viottolo sovrastante la Cisterna Romana, il compagno Fabbri Ruggero allestì una botteguccia in cui lavorava come ombrellaio e cocciaio. Alla fine di via Umberto, la casa con terrazza in cui abitò Pietro Nenni. Dalla terrazza Nenni vide il suo vecchio compagno di partito Mussolini imbarcarsi su una lancia, raggiungere la spiaggia di Santa Maria e soggiornare per una decina di giorni nella palazzina gialla dove già aveva alloggiato l’etiope ras Immerù. Dopo la casa di Nenni, il palazzo in cui era allestita una delle tante mense. Ogni giorno dovevano mangiare un paio di centinaia di confinati e non si poteva certo servire la stessa minestra ai comunisti e agli anarchici, ai pugliesi e ai lombardi. Al bivio saliamo qualche gradino, superiamo l’albergo del Capitano, uno dei tanti palazzetti progettati dall’ingegner Bordiga, continuiamo salendo ancora qualche gradino; il viottolo sulla sinistra portava a una mensa; a fine strada c’era la casa di Maria Picicco, la ”mamma dei confinati”: le toccò mettere a bollire gli abiti di Nenni, pieni di pidocchi. Nella sua casa visse per qualche tempo Giorgio Amendola. A sinistra, un altro sentiero: alla fine c’era una garitta, noi confinati non potevamo raggiungere la parte alta degli Scotti. Ma adesso andiamo a destra, percorriamo via Canalone, ammiriamo la collina che digrada verso la baia. Piazzetta Dragonara è dominata da un pino. Nella casa diroccata sulla destra c’era una mensa; sul sentiero, appena oltre la cisterna romana, c’era l’ennesima garitta; a sinistra la casa in cui visse il duca Camerini e realizzò un giardino: le colonne che guardano verso Chiaia di Luna, i capitelli in pietra, il gazebo sono opera sua. Appena sotto il giardino la striscia incolta in cui noi confinati prendevamo il sole dopo mangiato, leggevamo il giornale, fingevamo di giocare a scacchi: lo chiamavamo il Prato della Miseria. Torniamo al pino, percorriamo la stradina in discesa: qui, nella casa a due piani dipinta di rosa, vissero Giorgio Amendola e sua moglie Germaine. Giorgio, alto e robusto, portava sua figlia Ada su un braccio, come un vassoio di paste. Grande e grosso com’era, ogni tanto veniva alle mani con qualcuno: con Gino Vittorio se le diedero più d’una volta. Di fronte alla casa degli Amendola, un vialetto: nell’alto palazzo giallo vissero alcune compagne confinate; nella casa oltre il cancello abitarono Carlo Fabbri e Silvio Campanile con le loro mogli ponzesi. Scendiamo ancora e, a metà scala, deviamo a sinistra, in via Nuova. Alcuni di noi fittarono una stanza in questo bel palazzo con gli archi, palazzo Pinto; Sandro Pertini alloggiò per qualche tempo qui, dove adesso sorge l’albergo La Baia. Più avanti, la contrada che i ponzesi chiamano “Galano”. Anche la casa di fronte alle scalette ospitò una mensa e alcuni compagni. Andiamo a sinistra, come se volessimo raggiungere la spiaggia di Chiaia di Luna: naturalmente non potevamo farlo, c’era la solita garitta ad impedirlo, nella curva da cui inizia il sentiero per il PIzzicato. Qui, su via Galano, in due stanze adiacenti con vista sugli orti della Padura, abitarono Camilla Ravera e Umberto Terracini. Sandro Pertini alloggiava poco più avanti. Era elegante e dispettoso: appena cominciava a piovere prendeva l’ombrello e faceva un giretto, giusto per costringere gli agenti di guardia a seguirlo … ovviamente senza ombrello, chi indossa la divisa non può portare l’ombrello. Amava le piante e gli animali: da Lipari aveva portato il cane Titì, qui adottò il gatto Brighetto che, alla partenza, lasciò a Luisa. In queste stanze Pertini visse una storia d’amore con Giuseppina. Di fronte, sulla collinetta dei Guarino, ancora una garitta con tanto di fascio littorio. La casa rosa a metà collina ospitò Amleto Bittoni e la moglie Diva; appartenevano all’ala bordighiana, gli scontri anche fisici tra loro e i gramsciani non erano infrequenti; un compagno greco aveva una bambina che aveva il nome di una musa, Clio, e i Bittoni decisero che avrebbero dato lo stesso nome alla figlia che sarebbe nata di lì a poco: mi pare che è stata al Quirinale sino a qualche tempo fa. Torniamo indietro, dai Galano scendiamo a Sant’Antonio. Ricordo le lunghe chiacchierate su questo lungomare tra Altiero Spinelli e Camilla Ravera, così giovani, così infervorati, oramai su posizioni politiche così distanti. Qui dove c’è l’ulivo venne eretto il monumento ad Arnaldo Mussolini; all’inaugurazione Titì, il nostro cane, produsse un particolare omaggio idrico. Nel primo palazzo con gli archi c’era la farmacia Vitiello. Una stanza sul retro fu presa in affitto da Lelio Basso, Cencio Baldazzi, Gianbattista Canepa. Basso aveva frequenti attacchi di epistassi, così le figlie della farmacista erano costrette ad accorrere per prestare soccorso. Elena sposò Baldazzi, Maria sposò Canepa detto Marzo e partecipò alla Resistenza: è stata la prima partigiana d’Italia. Qui, nel palazzo con gli archi, abitò Michele Veglia con la moglie e i due figli, Aurora e Spartaco: tipici nomi da figli di confinati! In una delle stanze del palazzo attiguo abitò Cesare Rossi dal 1940 al 1942. Alle spalle, la mensa più grande, dei comunisti, con pozzo e spazio per uccidere il maiale. Appena prima del tunnel che porta a Giancos, a lato mare, l’ultima garitta. Palazzo Martinelli, sulla sinistra, era la sede del fascio. Torniamo indietro, entriamo nel tunnel, percorriamo il primo tratto di corso Pisacane; dopo la curva, in questa casa sulla sinistra dal cancello azzurro, abitava l’avvocato Gaetano Migliaccio: Pertini, con la scusa di dover concordare la linea difensiva, veniva a fare qualche partita a scopa. In piazza Gaetano Vitiello aveva sede il municipio: qui Giorgio Amendola sposò la sua Germaine, il luglio del 1934. La bella scaletta coperta sulla sinistra conduce a via Corridoio: nel piccolo cortile sulla destra c’era la casa di Domizio Torrigiani, gran maestro della massoneria; affacciato al balconcino che dà sul corso, dovette sorbirsi più d’una volta la serenata sguaiata dei militi: Con i baffi di Torrigiani/ noi faremo spazzolini/ per pulire gli stivali/ di Benito Mussolini. Più avanti, la stanza affittata da Vittorio Foa; ancora più avanti, nell’ultima casa che forma un ponte su via Corridoio, abitò il generale Roberto Bencivenga. Torniamo sul corso Pisacane attraverso il passaggio coperto che gli isolani chiamano Portone di Pascarella. Affacciati al muretto, attendevamo l’arrivo del vapore, lo sbarco dei compagni; al molo non potevamo accedere, all’inizio c’era la solita garitta; potevamo però superarla per andare a prendere i bagni di mare, in estate; la nostra spiaggetta era appena oltre il faro, piccola ma molto graziosa: la Caletta… Ancora pochi passi e siamo ai Cameroni. Ecco, adesso puoi visitare i Cameroni. Sei stanco? Noi percorrevamo la via del confino più volte al giorno, tra il primo e l’ultimo appello, e non ci stancavamo mai… Testo di Rita Bosso


Galleria

Clicca sull'icona per accedere alla raccolta di immagini del confinato.