La Ragazza Ponzese

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La Ragazza Ponzese

Biografia

Passavano di qua, più volte al giorno, ma noi non li vedevamo e loro non vedevano noi. Più volte al giorno percorrevano questi gradini, costeggiavano i nostri orti ma, quando ci incontravamo, i loro occhi puntavano davanti, all'infinito; i nostri, puntavano a terra. Avevano preso in affitto le case belle del centro, che non erano molte, ma anche modeste stanzucce; anche loro, i confinati che potevano permettersi una casa o almeno una stanza, si contavano sulle dita delle due mani. Gli altri, a centinaia, vivevano ammassati nei Cameroni, di fronte alla Chiesa. Questa è terra di relegazione da sempre, sapevamo come comportarci, le mamme ci raccomandavano di non dare confidenza a militi e confinati, il prete predicò sull’altare: I confinati sono senza dio, tenetevene alla larga!. Questa è terra di relegazione già dai tempi di Roma antica; papa Silverio, per dire, fu relegato a Palmarola. È terra di soggiorno coatto, la nostra: coatti, quatti, furono mandati qui dai Borbone e utilizzati per la costruzione del porto. Dopo l’unità d’Italia i Savoia ci hanno mandato camorristi, sospetti briganti e, nel 1911, prigionieri libici; dal 1928 al 1939 il duce ha mandato gli oppositori politici: comunisti, anarchici, qualche socialista ma anche fascisti scomodi. Tra il ’42 e il ’43 abbiamo accolto qualche altro confinato e gli internati slavi: montenegrini, greci, serbi. E’ arrivato perfino un ras etiope col suo attendente, il deggiac; è arrivato perfino il duce, relegato per pochi giorni, a fine luglio del ‘43: ne è passata di gente importante, da queste parti! Nell’Ottocento i relegati cantavano: Mi trovo ‘ncopp’all’isola ‘Nnucente carcerato Chissà chi m’ha ‘nfamato E se ne paga Dio Sapevamo che i confinati erano, perlopiù, braccianti o operai; comunisti o anarchici: informazioni generali, che riguardavano la massa; dei singoli, nulla sapevamo e nulla volevamo sapere. Sapevamo che stavano scontando una pena ma le loro condizioni di vita, a quanto potevamo vedere, non erano tanto peggiori delle nostre. Era loro vietato avere rapporti con noi, i nativi dell'isola, ma non era detto che tenessero alla nostra compagnia e noi, di certo, non volevamo avere a che fare con loro, per non avere guai con le autorità. Era loro vietato frequentare luoghi di pubblico ritrovo; noi, invece, potevamo andare in chiesa e al cinematografo Primo, a via Corridoio. I confinati dovevano rispondere a due appelli giornalieri e, dopo il secondo, rintanarsi in casa o nei Cameroni; però neanche noi facevamo vita mondana, con la paura della marmaglia dei militi che circolavano liberamente per il paese e insolentivano, spadroneggiavano, spesso ubriachi. I confinati vivevano le conseguenze della guerra e della fame, come noi isolani, come tutti; però, a differenza di noi, percepivano una diaria di cinque lire, che non erano una miseria: la maggior parte degli uomini dell'isola ci avrebbe messo la firma, per avere una paga di cinque lire. I confinati avevano perso il lavoro; e i pescatori isolani, allora? La pesca, da quando l'isola era diventata colonia confinaria, era soggetta a tali e tante limitazioni che, oramai, gli uomini neanche uscivano in mare. Nativi, confinati, guardie: vivevamo sullo stesso lembo di terra e non sempre era chiaro chi fosse relegato e chi libero cittadino, le garitte delimitavano l’area accessibile ai confinati ma anche noi non potevamo circolare liberamente. Se volevamo campare quiete e far campare quieti i nostri familiari, quando incrociavamo i confinati dovevamo guardare da un’altra parte. Ma loro erano tanti, erano giovani, passavano di qua tante volte al giorno. Capitava che uno di loro distogliesse lo sguardo dall’infinito e lo portasse a distanza prossima; capitava che una di noi sollevasse gli occhi da terra; capitava che gli sguardi si incrociassero. Capitava… allora erano dolori! Il padre di Sisina fu convocato dai carabinieri, minacciato, picchiato, sottoposto al trattamento con olio di ricino. Lo zio e il fratello di Giuseppina e di Maria furono ammoniti e persero il lavoro di postini. Lo zio di Rita, che era prete, cacciò di casa la nipote. Anche Silvia fu cacciata di casa. Le figlie della farmacista, Elena e Maria, venivano insultate dai militi. Giuseppina si fidanzò con l’avvocato Pertini, bell’uomo, elegante e dispettoso: appena cominciava a piovere prendeva l’ombrello e si metteva in cammino, costringendo la sua scorta a bagnarsi: chi è in divisa, si sa, non può tenere l’ombrello. Mi trovo ‘ncopp’all’isola ‘Nnucente carcerato… Nella foto: Rita Parisi, moglie di Mario Magri. Testo di Rita Bosso


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